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Alessandro Borea (La Genovese): Serve creare una cultura condivisa del buon caffè

  • info857215
  • 29 ago
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 4 set

La serie di interviste IIAC è un’opportunità per scoprire come alcuni protagonisti del settore del caffè interpretano i segnali del mercato, e le leve che stanno azionando per costruire un futuro con maggiore consapevolezza nei consumatori.


Oggi parliamo con Alessandro Borea, amministratore della torrefazione La Genovese, azienda a conduzione familiare giunta alla terza generazione, per la quale si occupa anche di produzione e qualità. L’azienda opera principalmente in Liguria e Piemonte, ma esporta anche in diversi paesi europei ed extra-UE. Borea è inoltre presidente di Istituto Espresso Italiano (IEI).


Ci parli del core business della tua azienda?

La Genovese ha quasi novant’anni di storia. La nostra attività si concentra per il 90% sulla produzione di caffè in grani per il mercato professionale, con una piccola parte dedicata alle monoporzioni. Non produciamo confezioni per la grande distribuzione.


Alessandro Borea
Alessandro Borea, amministratore della torrefazione La Genovese e presidente di Istituto Espresso Italiano (IEI)

Qual è lo stato attuale del mercato del caffè in Italia?

Il mercato italiano, in particolare nel settore Ho.Re.Ca., è estremamente articolato. Riscontriamo una forte difficoltà nel far percepire il reale valore del caffè al consumatore, a causa di radicate dinamiche socioculturali. Questo ostacola una giusta valorizzazione del prodotto lungo tutta la filiera. Sebbene il caffè di qualità implichi costi crescenti e competenze specifiche, molti clienti continuano a considerarlo un bene a basso costo. Ne deriva un circolo vizioso che frena l’innovazione, svaluta la qualità e penalizza la redditività delle imprese.


Come vedi il mercato italiano rispetto a quello estero?

In Italia, il mercato tende spesso a valorizzare il caffè come semplice abitudine quotidiana, più che come prodotto da scoprire e comprendere. Questo rende difficile comunicare al cliente finale il reale valore legato alla qualità, all’origine e alla sostenibilità. Tuttavia, anche in Italia cresce una fascia di clientela più consapevole, attenta al gusto e alla filiera. All’estero, invece, è generalmente più semplice dialogare con operatori già orientati alla qualità, con maggiore apertura verso trasparenza, formazione e valore percepito.


Voi come state affrontando questo aumento?

Abbiamo intensificato gli sforzi di comunicazione verso i nostri clienti, puntando sulla trasparenza e sulla valorizzazione della qualità del prodotto. Più che focalizzarci solo sui costi, cerchiamo di spiegare cosa rende un caffè davvero buono: origine, lavorazione, filiera. Non parliamo solo di prezzo, ma raccontiamo storie di origine, impegno e passione, per aiutare i clienti a comprendere il valore reale del prodotto. Anche se incontriamo ancora qualche resistenza, notiamo che chi comprende il valore, è disposto a riconoscerlo e a condividerlo con i propri clienti.


Quali potrebbero essere le soluzioni a queste problematiche?

La soluzione principale risiede nella formazione e nella comunicazione efficace. È fondamentale che baristi e consumatori comprendano appieno cosa rende speciale un buon caffè, per creare una cultura autentica del prodotto. La formazione deve essere vista come un investimento strategico che valorizza la qualità e non come un semplice costo, così da trasformare la percezione del caffè e sostenere un mercato più consapevole e competitivo.


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