Mariafiore Maggiordomo (Jolly Caffè): è importante parlare, confrontarsi e informare per un cambiamento di prospettiva
- info857215
- 17 set
- Tempo di lettura: 2 min

Prosegue il nostro ciclo di interviste dedicate al settore del caffè: l’obiettivo è comprendere le strategie che guidano le aziende, come affrontano le sfide, trasformando i cambiamenti in opportunità. Abbiamo parlato con Mariafiore Maggiordomo, amministratrice delegata di Jolly Caffè, per la quale si occupa anche di formazione.
Jolly Caffè è stata fondata nel 1953 da Dante Belardinelli, nonno di Mariafiore Maggiordomo, è stata la prima torrefazione italiana nella filiera della certificazione ad avere un’aula di formazione permanente, proponendo corsi annuali, accogliendo torrefattori, giornalisti e scuole alberghiere in azienda. Il padre di Mariafiore, Gerlando Maggiordomo, genero di Dante, è stato uno dei fondatori di IIAC – International Institute of Coffee Tasters.
Qual è la tua visione sul mercato del caffè oggi?
La situazione è complessa. A prescindere dall’aumento del prezzo del caffè, dovuto a speculazione, cambiamenti climatici e problemi di approvvigionamento, una delle sfide per i torrefattori, specialmente in Italia, è il prezzo della tazzina. Non c’è una reale differenza di prezzo tra una tazzina preparata con un caffè di alta qualità e una preparata con un caffè di qualità inferiore. Per offrire un prodotto di qualità è necessario anche offrire una miscela che sia sempre stabile, con un profilo organolettico coerente. Ma purtroppo questo lavoro non viene quasi mai riconosciuto. Si dovrebbe poter distinguere la qualità ovunque lo si beva: al supermercato, al bar o in una piccola torrefazione.
Quanto conta la formazione del consumatore?
È cruciale, ma estremamente difficile. Bisognerebbe cercare di far capire che il prezzo dovrebbe riflettere la qualità, ma manca una standardizzazione dell’educazione all’espresso. I consumatori si affidano al prezzo, perché ricevono informazioni contraddittorie. Questo rafforza l’idea che tutti i caffè siano uguali, mentre non è così. È un lavoro che deve essere affrontato attraverso una collaborazione tra più figure.
E riguardo al mercato estero? Quali differenze noti rispetto all’Italia?
In Europa c’è più disponibilità a pagare per la qualità, soprattutto in paesi come Germania, Inghilterra, Slovacchia, Austria. Anche all’estero però, con l’aumento dei prezzi, si fa fatica a far capire che la qualità ha un prezzo, proprio come accade per il vino o l’olio, anche per quest’ultimo infatti, la mancanza di formazione del consumatore porta a dinamiche simili a quelle relative al mondo del caffè. Questa mancanza di informazione sul prodotto porta inevitabilmente il consumatore medio a basarsi unicamente sul prezzo, scegliendo l’opzione più economica e abituandosi a essa.
Secondo te, come si può migliorare la percezione della qualità?
Serve un approccio pratico. Proporre degustazioni nei locali, come avviene per il vino, iniziando con qualcosa di semplice per incuriosire, e poi andare sempre più nel tecnico. Ma è difficile, perché baristi e clienti hanno altre priorità. È un processo lungo, ma necessario. Tuttavia, trovare ad oggi una soluzione immediata è improbabile, altrimenti l’avremmo già attuata e messa in campo, ma anche solo parlare di questi temi, confrontarsi e informare resta il primo passo per un cambiamento di prospettiva.




Commenti